Sant’Antioco in Età Medievale
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, avvenuta convenzionalmente nel 476 d.C., Sulky, come il resto della Sardegna, passò sotto il dominio vandalico. I Vandali erano popolazioni di origine germanica stabilitesi in Nord Africa; la loro permanenza a Sant’Antioco durò circa ottant’anni. Proprio durante il V sec. d.C. a Sulky è testimoniata la convivenza tra una comunità cristiana e una giudaica, quest’ultima attestata almeno fin dal II sec. d.C. Tali comunità riutilizzarono entrambe gli ipogei punici destinandole a sepolture familiari, nello stesso periodo e nello stesso settore del suburbio cittadino (fig. 1-2).
Alcuni ipogei dell’antica necropoli punica vennero infatti riutilizzati: furono collegati tra loro tramite aperture realizzate mediante lo sfondamento di pareti delle camere originarie, creando così il cimitero noto con il nome di Catacomba di S. Antioco; accanto ad esso, quello di Santa Rosa, meno esteso (fig. 3). All’interno del cimitero fu inserito il cosiddetto “altare del santo” (fig. 4).
L’edificio oggi esistente, dedicato al santo, non è quello del V sec. a.C. ma una costruzione la cui origine non risale oltre l’Età Bizantina (VI-X sec. d.C.) e che nei secoli fu fatto oggetto di ampliamenti e trasformazioni (fig. 5).
L’epoca della dominazione bizantina ha ufficialmente inizio nel 534 d.C., in seguito alla vittoria del generale Belisario a Tricamari, presso Cartagine (nell’attuale Tunisia) contro i Vandali. Da quel momento la Sardegna entrò a far parte dell’Impero Romano d’Oriente e divenne, insieme a Corsica e Baleari, una delle sette province dell’Africa bizantina costituite dall’imperatore Giustiniano (fig. 6).
Durante il precedente periodo vandalico le comunità cristiane della Sardegna conobbero un momento di viva organizzazione: Sulky risulta sede episcopale almeno dal 484 d.C., essendo stata presente al concilio di Cartagine con il suo vescovo Vitale. Durante i secoli dell’Alto Medioevo, nel suburbio meridionale di Sulky, la topografia era caratterizzata da un complesso monumentale di una certa importanza, chiamato castrum sulcitanum di cui oggi non restano tracce, ma del quale si conservano le utili descrizioni di Vittorio Angius, di Alberto della Marmora, del canonico Giovanni Spano e più tardi Dionigi Scano. Agli inizi dell’VIII sec. la Sardegna cominciò a essere oggetto delle incursioni degli Arabi e l’isola di Sant’Antioco fu uno dei principali obiettivi. La prima volta che ciò accadde, gli abitanti di Sulky furono colti impreparati, non riuscirono a opporre resistenza e gli aggressori furono liberi di saccheggiare e catturare prigionieri. Da allora le invasioni si fecero ricorrenti costringendo gli abitanti a cercare rifugio nell’entroterra, lasciando l’isola pressochè disabitata fino al X secolo. Le incursioni saracene ripresero proprio durante la prima metà dello stesso secolo ed è in questo periodo che nacque la figura dei Giudici, governatori della Sardegna. Andò quindi affermandosi una sostanziale autonomia dell’Isola, la quale per una migliore gestione dell’amministrazione venne divisa in quattro Giudicati: Cagliari, Arborea, Torres e Gallura (fig. 7).
Sant’Antioco rientrava nel Giudicato di Cagliari. Nell’anno 1089 proprio il Giudice di Cagliari, Costantino, concesse ai Vittorini il santuario di Sulci con tutto il territorio circostante. I monaci operarono dei restauri nell’edificio di culto semidistrutto dalle incursioni, restituendolo a nuova vita nel 1102. Solo nel XVIII secolo, in epoca sabauda, iniziò un processo di ripopolamento del territorio che diede luce all'odierno abitato di Sant'Antioco il quale si sovrappose perlopiù alle rovine dell'antica Sulky. La parte più povera della popolazione occupò una parte della necropoli punica, sfruttando gli ipogei come misere abitazioni riadattate alle esigenze più elementari (fig. 8).
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